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EDITORIALE - C'è crisi. A Jesolo c'è sempre meno richiesta. Molti stanno abbandonando la località. Si è sentito affermare in maniera categorica che è impensabile la costruzione di ulteriori complessi alberghieri od extra alberghieri. L'attuale ricettività di Jesolo è più che sufficiente, perchè l'arenile non puo' ospitare oltre il numero concesso, anche per garantire un certo equilibrio alle aziende esistenti per gli anni a venire. Vorremmo, se possibile, iniziare un piccolo ragionamento su questo tema. Se non fossero sorti, tanti e tali alberghi vent'anni fa. Se non fossero sorti nè bar, nè condomini, nè negozi e coloro i quali rappresentavano allora le aziende esistenti non ne avessero permesso la costruzione, cosa sarebbe di Jesolo oggi? Ed inoltre... (segue pagine interne)

IL TERRITORIO ABBANDONATO: ...Non c'è disastro o calamità naturale infatti che possano essere relegati nella dimensione biblica della fatalità, senza chiamare in causa le responsabilità o quantomeno le corresponsabilità dell'uomo, l'uomo di governo e l'uomo della strada, il potente e il cittadino comune. Vittime, feriti e dispersi; frane, smottamenti e alluvioni; danni e rovine non sono altro che il triste risultato del combinato disposto tra la furia degli elementi e l'inerzia o l'incuria degli esseri umani. Tutto è, fuorché emergenza: cioè eventualità imprevista e imprevedibile, caso fortuito, accidente della storia... Giovanni Valentini - la Repubblica - 3 marzo 2011

lunedì 25 agosto 2014

Ibiza: giochi di mano, sgominata la banda italiana degli orologi



Ibiza: sgominata la banda italiana degli orologi

Le indagini congiunte della Polizia spagnola, del Servizio Centrale operativo della Polizia e della Squadra Mobile di Napoli hanno portato all'arresto di cinque italiani, responsabili di furti di orologi di marca ai turisti nelle principali località di Ibiza. I malviventi, casco in testa, effettuavano i furti prevalentemente nelle stazioni di rifornimento dell'isola come testimoniano le immagini diffuse dalla Polizia spagnola


GIOCHI DI MANO
di Massimo Polidoro
«Prego, si accomodi da questa parte» dice il prestigiatore mentre fa salire un volontario dal pubblico. «L’aiuto io» e l’orologio dello spettatore è sparito dal suo polso.
«Ecco, si metta qui. No, un pochino più indietro, per favore» e la penna si è volatilizzata dal taschino.
«La vedo un po’ teso, si sieda qui. Ecco, e si slacci la camicia» e anche la cravatta finisce nelle tasche del mago.
Il pubblico applaude divertito e il povero spettatore li guarda perplesso, ignaro di quello che gli sta accadendo.
Non è capitato nelle grinfie di un illusionista cleptomane; piuttosto, è la “vittima” di un numero di “pickpocket”.
Di che cosa si tratta? Immaginiamo qualcuno che sottrae un oggetto o un capo d’abbigliamento a un volontario, senza che costui se ne accorga. Bene, se lo restituisce per poi farsi applaudire allora abbiamo un artista del pickpocket, se invece se lo porta a casa abbiamo un ladro.
Quella del pickpocket è in effetti una branca della magia da scena, dove il mago, armato solo della propria abilità manuale e di una forte personalità, riesce a tenere incantata una platea comportandosi come un perfetto borsaiolo.
Ladri e borseggiatori ci sono sempre stati ma il furto come forma d’arte è una cosa piuttosto recente e risale ai primi anni Trenta. A Parigi, Dominique (v. pag. 36) era noto dopo la guerra come “L’uomo dai 300.000 orologi”, che erano quelli che si stimava avesse sfilato agli spettatori nei suoi spettacoli. Borra (v. pag. 28), da molti considerato il più bravo in assoluto, era un abilissimo serbo. Quando saliva in scena iniziava a parlare e, dopo qualche istante, si toglieva dalle tasche portafogli, orologi, collane e cinture e chiedeva rivolto al pubblico a chi appartenessero. Diversi si alzavano in piedi sbalorditi, sostenendo che Borra non si era nemmeno mai avvicinato a loro. In realtà, prima dell’inizio dello spettacolo, travestito da anziano inserviente, Borra aveva accompagnato ciascuno ai posti assegnati, prelevando loro tutto quello che riusciva ad arraffare.
Un altro grande artista fu il “Dr. Giovanni”, nome d’arte di un ungherese poliglotta. «È vero che parlava tante lingue», spiega Randi nel suo articolo a pag. 28, «ma tutte male. E, ogni volta che faceva uno strafalcione, si piegava letteralmente in due dal ridere, appoggiandosi allo spettatore per sostenersi. Chiaramente, con la scusa di appoggiarsi gli sfilava dalle tasche tutto quello che poteva».
Il segreto del pickpocket, in effetti, sta tutto qui. Con una scusa qualunque, il mago distrae la vittima e in quel momento gli sottrae qualcosa.
«Che, del resto, è esattamente quello che succede nella vita reale sugli autobus o al mercato» dice il grande Alexander nell’intervista che trovate a pag. 8. E lui è uno che se ne intende, visto che qualche tempo fa l’Assessorato polizia locale della Regione Piemonte lo ha ingaggiato per tenere un corso di pickpocket ad agenti di polizia e carabinieri.
A chi ha obiettato che sarebbe stato più ortodosso affidarsi, come insegnante, ad agenti esperti, come quelli che in borghese battono quotidianamente i luoghi affollati dove prosperano i borseggiatori, risponde Roberto Bellezza del dipartimento di polizia locale della Regione Piemonte, ideatore della “scuola” anti-manolesta: «Nessun agente sarebbe in grado di sfilare un portafoglio da una tasca con la destrezza del mago Alexander. È l’insegnante perfetto».
«È da quando ero ragazzino che sono affascinato dal pickpocket» mi ha detto Alexander «e da 13 anni studio il fenomeno dal punto di vista della prevenzione nella vita di tutti i giorni. Ovunque vado, giro armato con una telecamera nascosta per filmare eventuali borseggi che poi studio. Probabilmente i più bravi sono gli slavi, assieme a colombiani e cileni. In un certo senso li ammiro per l’inventiva delle loro tecniche».
Una delle più utilizzate è nota con il nome di “bump”, un’altra è il sistema del “piccione”. «I ladri aspettano la vittima vicino a un bancomat» dice Alexander, «oppure fuori dalla posta il giorno in cui vengono pagate la pensioni. Quando addocchiano la persona giusta, uno di loro, senza farsi accorgere, spruzza della senape in bustina sul cappotto o la giacca del malcapitato. Il borsaiolo gli si avvicina e gli fa notare che un piccione deve avergli sporcato la giacca. Mostrandosi gentile e altruista, lo aiuta a togliersi la giacca per pulirla e, nel frattempo, gli sfila i soldi che ha appena ritirato».
E c’è poi il “metodo del cartone”, tipico delle zingare. Mettono un cartone con qualche scritta pietosa davanti alla vittima per schermare la mano che fruga nelle tasche. Succede spesso nei mercati.  E quello del “turista” che vi racconteremo nelle prossime pagine.
La scelta della vittima, tanto per un ladro quanto per un artista del pickpocket, è fondamentale. Non ci si può buttare su una persona scelta a caso; perché le manipolazioni necessarie per slacciare un orologio o sfilare un portafogli passino inosservate, è necessario che anche l’artista, come fa il borsaiolo, osservi con attenzione il proprio pubblico. Per togliere un orologio, per esempio, la persona ideale è un po’ più piccola del mago e certamente magra. Questo perché così il prestigiatore potrà sovrastare la “vittima” e stringergli le mani senza incontrare difficoltà o resistenze. E questa deve essere magra perché di solito le persone robuste stringono eccessivamente il cinturino nella carne, rendendo molto difficile sfilarlo.
Ma se sul palcoscenico non si rischia nulla e, dunque, ci si può anche abbandonare al gioco e lasciarsi derubare di tutto – tanto si sa che le cose saranno restituite – nella vita reale è meglio stare sul chi va là.
«Il problema del borseggio per la strada», spiega Alexander, «è che i ladri hanno buon gioco perché normalmente siamo tutti piuttosto distratti. La signora che fa la spesa al mercato, a volte lascia la borsa aperta, con il portafoglio o le gioie bene in vista. Una tentazione invincibile anche per il ladro più scarso». Per rendere la vita difficile ai ladri, però, si può seguire qualche piccolo accorgimento come quelli che trovate a pag. 17.
David Avadon, grande professionista del pickpocket americano, è quello che probabilmente ha studiato l’argomento più di tutti dal punto di vista storico. Ha scritto il primo libro dedicato alla storia del pickpocket e condivide con noi episodi divertenti ed esperienze professionali insolite.
E poi c’è James Randi che ci racconta alcuni tra i più celebri pickpocket della storia e, di questi, ne incontriamo uno, il grande Dominique, nell’intervista che gli ha fatto Bertran Lotth.
E non è finita. Di pickpocket si parla anche nell’intervento di Ian Rowland, che cerca di immaginare come la tecnica si potrebbe applicare al mentalismo, e in quello di Gianni Pasqua che, invece, ci ricorda di quando il borsaiolo era solo un ladro e non un artista.
Come in ogni numero, poi, spaziamo sugli argomenti più diversi e curiosi. In ambito storico, Alex Rusconi rilegge le “Confidenze” di Robert-Houdin, mentre Andrea Albini racconta gli esordi del cinema, che a quel tempo era quasi visto come una forma diversa di gioco di prestigio. E ancora Barry H. Wiley ricostruisce la carriera di quella che è stata forse la più grande mentalista donna, Annie Eva Fay.
E, sempre a proposito di mentalismo, David Britland ragiona sull’Effetto Berglas, mentre Mario Bove condivide alcune riflessioni sull’Out of this world e Pierfrancesco Panunzi ci offre un gioco “da mente a mente”. Esauriente e originale, poi, la trattazione di Carlo Faggi del classico gioco delle 21 carte: il gioco che “tutti sanno fare”, ma che alla fine riuscirà ancora a sorprendervi.
Per quel che riguarda la psicologia della nostra arte, molto acuti e pratici i suggerimenti raccolti da Matteo Rampin su come scegliere e trattare i volontari del pubblico chiamati sul palcoscenico. Così come preziosissimi i consigli di Vinicio Raimondi sull’uso della voce in scena.
In Biblioteca si parla anche dei Manga magici e inizia un’affascinante trattazione in due parti su Eduardo de Filippo e la magia nel suo teatro, a cura della nostra Fara Di Maio che, oltre a essere la straordinaria curatrice di tutte le traduzioni per Magia, è anche un’appassionata cultrice del grande Eduardo.
Per chiudere Martin Gardner ci presenta un suo classico, “Passaggio di materia”, e Raul Cremona ci ricorda la curiosa figura di Carlo Andreoletti, che come tanti suoi colleghi dell’epoca arrotondava dando lezioni di magia e vendendo trucchi per pochi spiccioli.
E, come sempre, non poteva mancare il grande Silvan. Questa volta, il suo è un toccante ritratto e un tributo a un mito della magia, che per Silvan è stato anche un vero e grande amico, l’impeccabile Channing Pollock. Un ricordo imperdibile, arricchito dalle numerose foto personali che Silvan ci ha gentilmente messo a disposizione.
Insomma, ancora una volta un numero davvero speciale che speriamo sia anche ricco di stimoli e suggestioni. Il numero 9, a cui già abbiamo iniziato a lavorare, sarà dedicato a un vero e proprio “filosofo” della magia, Eugene Burger. Per tutti quelli che amano il close up, la bizarre magick, lo spirit theatre o, semplicemente, apprezzano riflessioni chiare, semplici e allo stesso tempo profonde e convincenti sulla magia, un altro numero da non perdere.

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