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EDITORIALE - C'è crisi. A Jesolo c'è sempre meno richiesta. Molti stanno abbandonando la località. Si è sentito affermare in maniera categorica che è impensabile la costruzione di ulteriori complessi alberghieri od extra alberghieri. L'attuale ricettività di Jesolo è più che sufficiente, perchè l'arenile non puo' ospitare oltre il numero concesso, anche per garantire un certo equilibrio alle aziende esistenti per gli anni a venire. Vorremmo, se possibile, iniziare un piccolo ragionamento su questo tema. Se non fossero sorti, tanti e tali alberghi vent'anni fa. Se non fossero sorti nè bar, nè condomini, nè negozi e coloro i quali rappresentavano allora le aziende esistenti non ne avessero permesso la costruzione, cosa sarebbe di Jesolo oggi? Ed inoltre... (segue pagine interne)

IL TERRITORIO ABBANDONATO: ...Non c'è disastro o calamità naturale infatti che possano essere relegati nella dimensione biblica della fatalità, senza chiamare in causa le responsabilità o quantomeno le corresponsabilità dell'uomo, l'uomo di governo e l'uomo della strada, il potente e il cittadino comune. Vittime, feriti e dispersi; frane, smottamenti e alluvioni; danni e rovine non sono altro che il triste risultato del combinato disposto tra la furia degli elementi e l'inerzia o l'incuria degli esseri umani. Tutto è, fuorché emergenza: cioè eventualità imprevista e imprevedibile, caso fortuito, accidente della storia... Giovanni Valentini - la Repubblica - 3 marzo 2011

sabato 23 agosto 2014

Cortellazzo, la Grande Guerra e la ricostruzione

Quelli che hanno fatto grande Jesolo


 Cortellazzo- La ricostruzione iniziò al lume delle candele. Su Jesolo 2000, edito dalla C.J.A., il 15 marzo 1972, pubblicammo un racconto della tragica odissea di soldati e mamme durante la Grande Guerra. La pagina fu realizzata da: Tino Corradini (articoli) Adri Stella ed Adriano Bortoluzzo (foto) Gabriele Muti (coordinamento) e Elio Ongaro, al quale ancora oggi va il grandissimo merito della collaborazione e l'aiuto per la ricerca di persone , documenti e fotografie dell'epoca). " Cinquantaquattro anni fa, pazzo inverno anche allora con piogge e nebbie, Cortellazzo, Cavazuccherina, Passarella stavano vivendo il lungo calvario delle zone rivierasche del Piave, di mezzo Veneto. Un calvario che era iniziato in quei giorni uggiosi di fine ottobre, quando l'esercito autro-ungarico sferro l'offensiva di Caporetto, la "Operazione valanga" che doveva portare le armate a dilagare nel Veneto, raggiungere Treviso, Venezia, Padova, il Po. Durò mesi quell'allucinante battaglia e Cortellazzo, Grisolera, Cavazuccherina, San Donà di Piave pagarono lo scotto maggiore. Questi centri ad un certo momento rimasero solo sulla carta geografica, perchè di essi non restarono che enormi pietraie, null'altro che macerie. A Cortellazzo, forse più che altrove, soldati e popolo furono assieme, e mai perdettero la fiducia, la fede. Gli austriaci erano davanti a loro, appena al di là del Piave e del Cavetta... *** (Dove s'annidavano le mitragliatrici ed i cecchini austriaci, seminascosti tra le macerie delle case, ora vi sono dei bimbi che giocano, e graziose costruzioni. Gruppetti di turisti stanno cercando appartamenti per quest'estate): *** ...ma anche - nel giugno 1918 - per le strade di Cortellazzo ridotto ad un cumulo di macerie. Ma forse mai gli abitanti di questa zona dubitarono di vivere all'ombra di una bandiera che non fosse il tricolore. Per alcuni mesi divisero stenti e ripari con i soldati
in grigioverde, con i bersaglieri. Poi, nelle immediate retrovie (perchè molti vollero restare vicini ai loro focolari) mangiarono lo stesso pane raffermo, guardarono con amarezza verso il loro paese dove ad occhio nudo era possibile vedere l'invasore. C'erano freddo e pioggia, c'erano i colpi sordi delle granate che cadevano non lontano, c'erano i padri, i fratelli in guerra, i parenti rimasti - in quel disperato e catastrofico 1917 - nel territorio occupato, ma questa gente, e molti lo ricordano ancora con fierezza, ma senza retorica, era sicura che l'invasore sarebbe stato cacciato. Lo capirono in quelle afose giornate del giugno-luglio 1918 quando i soldati che avevano visto laceri, sfiduciati e stanchi al tempo di Caporetto, li rivedero galvanizzati, fiduciosi, avviarsi verso la prima linea, il Piave, per combattere con grinta, affrontare con incoscienza i pericoli, aggrapparsi agli alberi, ai cespugli, fare di qualsiasi ostacolo una trincea perchè il nemico non guadagnasse un solo metro. Sparavano con rabbia, con fredda determinazione. Combattevano avendo - moltissimi - le loro case a pochi chilometri, i campanili delle chiese, dove erano stati battezzati, o si erano sposati, si incontravano con le loro mamme, con le loro sorelle, le mogli, perchè a Cortellazzo, a Cavazuccherina, a Caposile, non pochi di quei soldati ci stavano di casa, avevano giocato per quei fossati, per quelle strade, in riva al mare. Lì erano nati, lì erano cresciuti, lì avevano i loro cari e quel piccolo paese, quel lembo di terra, oltre ad essere territorio italiano, era il loro mondo. Tutti, giovanissimi ede anziani, compirono sempre meravigliosamente il loro dovere, si sacrificarono, trasformarono questa piaga nel loro nGolgota. Dopo l'armistizio una schiera di questi uomini validissimi riceveva il pacco vestiario e veniva mandato a... casa. A casa? Quale casa? Qui a Cortellazzo non c'erano che macerie, reticolati e fortini lungo tutto il Cavetta fino al punto in cui il canale si butta nel Piave... *** (Dalle case distrutte è sorto ora, stretto tra la sponda sinistra del Cavetta e la destra del Piave, un ristorante, quello di Elio Ongaro. Soprattutto d'estate è affollatissimo. Alle pareti sono appese le foto di quei giorni lontani, di quella tragedia). *** ...passato e ripassato dagli opposti eserciti. Raggiunsero, quei reduci, le famiglie nei vari luoghi d'Italia dove erano state avviate in parte dopo l'evacuazione. Nascosero la ultima ondata di sdegno udendo
dalle voci dei familiari le sofferenze e le lunghe umiliazioni patite. Tornarono ai loro paesi e in lunghe processioni, percorsero le sponde del fiume tra i grovigli dei reticolati, fra le trincee incise nei campi, fra i cimiteri di guerra, tra i proiettili dispersi ed ancora inesplosi. Attorno era lo squallore grave e disperato che pesa sui campi di battaglia abbandonati. Dov'era il campanile non rimaneva che un troncone. I profughi si guardarono attorno: nessun riparo. Ma a Cortellazzo e a Cavazuccherina i profughi , i paesani con ancora addosso le divise sgomberarono le strade dai detriti, tumularono i caduti, piansero i loro morti, ma poi, asciugarono subito le lacrime, messa da parte la disperazione, si rimboccarono le maniche lavorando anche al lume delle candele. E Cortellazzo e Cavazuccherina risorsero. (Articolo di Tino Corradini, Da JESOLO 2000, quindicinale di Turismo Cultura Attualità Direttore responsabile Tino Corradini - Ufficio cronaca Gabriele Muti - Comitato di redazione Aldo Giannetti, Vittorio Pavan, Carlo Tagliapietra, Alfredo Tambosso, Franco Urbani) Dal numero ANNO I° - NUMERO 5 - 15 MARZO 1972, pagina 4)


Andrea Bafile

La genorosità gli costò la vita



In basso a destra una foto nella quale, tra gli altri, in divisa, è ritratto Andrea Bafile segnalato dalla x a pennarello. Nell'articolo il racconto del suo sacrificio... "La notte del 12 marzo 1918 il tenente di vascello Andrea Bafile, comandante del battaglione di marina Monfalcone, decise di esplorare la sponda sinistra del Piave in mano austriaca. Gettatosi a nuoto da Cortellazzo, insieme ad altri arditi, riuscì a compiere la coraggiosa esplorazione. Sulla via del ritorno, mentre era sulla sponda destra del fiume si accorse che uno dei marinai era rimasto sull'altra riva ferito. Si rituffò nel Piave, ma, scoperto dal nemico, venne colpito a morte. Le sue ultime parole furono di incoraggiamento ai suoi marinai ed al compagno rimasto ferito. Fu decorato di medaglia d'oro alla memoria. (Nella foto, il ten Bafile, secondo da destra, fotografato davanti alla chiesa di Cortellazzo)

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